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Produrre è un po’ come fare un figlio, perché significa “creare”. Ogni atto della creazione ha bisogno di amore; e questo è un amore che viaggia in più direzioni.
La prima è l’amore e la passione verso il proprio lavoro. Si tratta di indirizzare tutti i propri sforzi affinchè quello che si sta producendo sia fatto nel migliore dei modi possibili, anche in proporzione dei mezzi che si hanno a disposizione.
La seconda direzione è l’amore e la responsabilità verso gli acquirenti, quindi verso le persone che utilizzeranno quello che stiamo producendo.
Produrre, dicevo, è un atto proprio dell’uomo rispetto agli animali. Questo sta anche e soprattutto a rimarcare il fatto che – a livello filosofico – la pulsione che spinge l’uomo a produrre non è il profitto (o perlomeno non in prima istanza) ma è la necessità di dotare i propri simili i qualcosa che non hanno.
A questo punto nascono gli artigiani; poi viene la prouzione industriale. Lo scopo di questa è chiaramente quello di produrre grandi quantità di un prodotto in maniera meccanizzata e quindi riducendo i costi.
Ridurre i costi significa ridurre non solo le spese dell’impresa che produce, ma anche ridurre il prezzo che una persone dovrà pagare per ottenere quello che gli serve.
E’ questa secondo me l’ottica giusta per guardare alla produzione ed al ricavo.
Sarebbe impensabile concepire la produzione industriale come un modo per ridurre i costi lasciando invariato il prezzo di acquisto: servirebbe solo ad aumentare il mark-up del produttore ma non avrebbe alcune effetto sulle persone.
Questo potrebbe portare a diversi risultati, il primo dei quali potrebbe essere un mancato aumento delle vendite e la conseguente perdita relativa all’investimento realizzato dal produttore che non riceve nuove entrate.

(tratto dal libro “Economia etica ed elementi di imprenditoria pratica”, Amedeo Pesce, 2007) Acquista su Amazon